ABSTRACT
In 2015, China and the U.S. have shown again their divergent models for Asia-Pacific trade agreements. As Trans-Pacific Partnership (TPP) leaders celebrate their agreement, China urges creation of its Asia-Pacific Free Trade Area (FTAAP): that’s because in TPP agreement China was excluded.
In this paper we analyze the increment in IDE by China towards ASEAN (Association of South-East Asian Nations) and correlate it to further step in regional economic integration and “One Belt one Road strategy”.
ASEAN’s aims are: to raise cooperation and investment and to create an AEC (Asean Economic Community).
Indeed ASEAN, thanks to its more important partner China, is growing very fast and is achieving its objectives. For this reasons, it’s becoming a fascinating region also for Italy.
In this contest, China is also planning a new “silk road” linking to Europe in order to compete against another trade agreement: Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) between U.S. and U.E.
Il 5 ottobre 2015 gli USA hanno raggiunto l’accordo con 11 Paesi del Pacifico sul Trans-Pacific Partnership (Tpp). L’intesa, che abbatterà le barriere al commercio e – secondo i negoziatori – aumenterà il lavoro e gli standard ambientali tra le nazioni, dovrà ora essere approvata dal Congresso Usa e dai rispettivi governi degli altri Paesi.
Nel dettaglio, il Tpp prevede l’eliminazione delle barriere tariffarie e non-tariffarie e l’adeguamento degli standard commerciali in una vasta area dell’Asia-Pacifico che comprende, oltre all’economia statunitense, Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam.
Il presidente Barack Obama ne è entusiasta e l’ha definito come:
“uno dei passi più importanti che possiamo fare per far crescere le nostre economie”.
Tra i grandi paesi asiatici è coinvolto il Giappone, ma non la Cina. Uno degli obiettivi è infatti quello di creare un blocco atto a contenere la crescente influenza cinese nell’economia della regione.
Obama ha inoltre dichiarato:
“Ho passato ogni giorno della mia presidenza a combattere per far crescere la nostra economia e rafforzare la classe media. In un momento in cui il 95% dei nostri clienti vivono fuori dai confini degli Stati Uniti, non possiamo far scrivere a paesi come la Cina le regole dell’economia globale. Dobbiamo scrivere queste regole, aprendo nuovi mercati ai prodotti americani e allo stesso tempo fissare alti standard per proteggere i lavoratori e conservare il nostro mercato”.
In questo scenario la Cina non rimane a guardare e nella riunione dell’APEC 2015 ha manifestato chiaramente l’intenzione di porsi al centro del processo di diplomazia economica nella propria area regionale, spingendo costantemente verso una Free Trade Area of Asia Pacific (FTAAP).
L’obiettivo principale della FTAAP è quello facilitare gli scambi, mentre l’implementazione della strategia cinese “One belt one road” sta contribuendo a rafforzare le infrastrutture per la movimentazione delle merci di scambio lungo l’intero continente euroasiatico.
Infatti i flussi IDE dalla Cina verso le nazioni ASEAN (Association of South-East Asian Nations) – Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore, Thailandia, Brunei, Vietnam, Laos, Myanmar e Cambogia – sono cresciuti rapidamente superando i 25 miliardi di dollari alla fine del 2012 (+5,3%) (figura 1).
L’istituzione di una libera area di scambio tra Cina e ASEAN all’inizio del 2010 ha sicuramente rafforzato la cooperazione economica regionale e contribuito all’aumento dei flussi in entrambe le direzioni ma più sbilanciati dalla Cina verso ASEAN.
Figura 1 IDE cinesi verso i paesi membri dell’ASEAN e rispettive percentuali (miliardi di dollari)
Fonte: World Investment report 2014, UNCTAD
Gli obiettivi di quest’area sono la cooperazione e l’assistenza reciproca fra gli stati membri con lo scopo di accelerare il progresso economico e aumentare la stabilità della regione, il sostegno agli investimenti, e l’istituzione dell’AEC (Asean Economic Community). Quest’ultimo è sicuramente l’obiettivo più complicato poiché si tratta di favorire la costruzione di un mercato unico, sviluppare infrastrutture e mercati finanziari, attuare politiche a sostegno delle PMI e favorire una maggiore integrazione all’interno dell’economia globale. Molte difficoltà riguardano la ratifica degli accordi e il loro allineamento con la legislazione dei singoli Paesi, la mancanza di coordinamento tra agenzie nazionali e regionali, le differenze pronunciate nei livelli di sviluppo tra i singoli paesi membri e l’assenza di uniche regole sul mercato del lavoro.
In prospettiva, l’AEC potrebbe tuttavia dare luogo a tassi di crescita potenziali elevati, creare una domanda interna che, a determinate condizioni, potrebbe trainare la crescita globale nei prossimi anni e offrire opportunità commerciali anche alle imprese dei paesi avanzati.
L’Italia, che non ha ancora sfruttato fino in fondo le potenzialità dell’area, conta la presenza di 421 aziende prevalentemente nei settori dei macchinari, della chimica e dei prodotti petroliferi.
Figura 2 Presenze aziendali per paese
Fonte: le imprese italiane nei paesi ASEAN, ICE 2015
La figura 2 mostra come Singapore sia la meta preferita. Sono inoltre presenti due sub-regioni: la prima composta dai 5 paesi fondatori dell’ASEAN (Filippine, Malesia, Indonesia, Singapore e Thailandia), cioè le economie più grandi che possiedono un maggiore reddito pro-capite, e – probabilmente come conseguenza – quelli che ricevono maggiori investimenti dall’Italia; la seconda è invece composta da Brunei, Vietnam, Laos, Cambogia e Myanmar che, nonostante siano innegabilmente cresciuti grazie ad un’appartenenza efficace all’ASEAN, sono ancora distanti.
Tra questi paesi però il Vietnam rappresenta un’eccezione. Esso è infatti la seconda destinazione preferita dagli investimenti italiani. Gli stipendi medi nel Paese sono infatti piuttosto bassi, ma la manodopera è di buona qualità e molto specializzata rendendo così la produzione molto conveniente. Tra i settori a cui si deve porre particolare attenzione per la realizzazione di investimenti troviamo quello del mobile, quello tessile e quello calzaturiero. Essi, già stabilmente presenti nel Paese, hanno dei problemi per quanto riguarda l’approvvigionamento delle materie prime e il design poco appetibile che rendono i prodotti made in Vietnam di scarso valore commerciale all’estero.
Infine, la Cina ha anche in programma di costruire una nuova “via della seta”, proprio per contrastare un altro accordo, il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) tra Stati Uniti ed Europa, che però procede a rilento.
Il progetto, che fa evidente riferimento ideale e storico alle rotte che collegavano in periodi antichi la Cina e l’Europa, prevede una serie di accordi commerciali e investimenti infrastrutturali finalizzati a promuovere il libero scambio e ad incrementare l’influenza della Cina. Il Paese asiatico ha annunciato lo stanziamento di circa 40 miliardi di dollari contando in futuri ritorni politici ed economici molto più corposi. Il CeSIF prevede che l’export potrà crescere al 6%, mentre le importazioni potrebbero crescere del 4-5.
L’Italia sembra avere in questo progetto un ruolo centrale, addirittura il punto d’arrivo (o di partenza) di questa nuova rotta euroasiatica dove effettivamente la via marittima e quella terrestre si incontrano, non a caso, a Venezia, la città di Marco Polo.
Figura 3 La nuova via della seta secondo Pechino
La carta rappresenta in blu scuro i paesi toccati dai due progetti infrastrutturali euro-asiatici che ha in mente la Cina. Un primo percorso (in arancione) collegherebbe Xi’an a Venezia, passando per l’Asia Centrale, l’Iran, la Turchia, la Russia, Duisburg e Rotterdam. Anche l’altro tracciato (in rosa) arriverebbe a Venezia, partendo da Fuzhou e attraversando l’Oceano Indiano, il Mar Rosso e il Mediterraneo.
Fonte: http://www.limesonline.com/le-nuove-vie-della-seta-secondo-pechino-3/86184