Una conversazione promossa da McKinsey aiuta a capire quali sono gli ingredienti per sviluppare il business in India. Ci aiutano due Ceo americani, Howard Schultz di Starbucks e Miles White, di Abbott Laboratories.
In entrambi i casi dato di base è il medesimo: avere un partner locale aiuta. Schultz lo ha trovato nel gruppo Tata, White ha acquistato Piramidal Group. Ha anche facilitato le cose il fatto che il governo indiano a fine 2012 abbia allentato le restrizioni all’ingresso straniero nel mercato al dettaglio.
Ma c’è di più, leggendo le dichiarazioni. Al fondo c’è la conoscenza del mercato locale (e della user experience) che ha consentito di individuare i fattori di successo:
Per gli Abbott Labs sono l’utilizzo della formula indiana del ricorso al farmaco generico per la maggioranza dei clienti, che tiene bassi i costi (utile nei mercati del Sud del mondo; ricordando che l’India è anche capofila nella guerra al brevetto di molti farmaci).
Per Schultz la lezione imparata è l’adattamento al gusto locale (in cui sono maestri i ristoratori cinesi a livello mondiale) che, unito alla ricerca della definizione di un’esperienza legata al consumo di caffè, ha consentito lo sviluppo del business nel Paese. In più, Starbucks ha mostrato flessibilità nell’affidarsi a Tata nella definizione di un blend per il caffè e condividendo alcuni segreti legati alla tostatura, affidandola agli indiani.
Questa flessibilità ha fatto di Starbucks il leader mondiale della degustazione, mentre le nostre imprese (Illy, Lavazza) non ci sono riuscite per una riproposizione troppo rigida della Made in Italy experience.